Luca 18,1-8 Lattanzio - Aceb_PugliaBasilicata

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2006-2024  ANNO XVIII         7 Aprile 2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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SERMONI


Ma quando il Figlio dell'uomo verrà,
troverà la fede sulla terra?

"Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: «In una certa città vi era un giudice, che non te-meva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e di-ceva: "Rendimi giustizia sul mio av-versario". Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Ben-ché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importu-narmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giu-stizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro con-fronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»" (Luca 18,1-8).


Gesù rivolge la parabola della ve-dova e del giudice ai suoi discepoli per esortarli a essere perseveranti nella preghiera ed esordisce, dicen-do: «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno» (v. 2). Questo era l'andazzo diffuso nella Palestina di quei tempi con giudici che pensavano al loro tornaconto personale, anziché ad amministrare equamente la giustizia. Potremmo certamente chiederci se questo non sia anche l'andazzo che si ripercuo-te nel nostro tempo, considerando la sfiducia che ancora oggi molti hanno verso l'amministrazione della giustizia, preferendo per esempio rinunciare ad appellarsi a essa a causa della lentezza del sistema giudiziario e degli investimenti ri-chiesti, senza avere alcuna assicu-razione che si arriverà a ricevere dei risarcimenti per delle ingiustizie su-bite. Se poi, come nel caso della parabola, si finisce per incappare in giudici mestieranti che pensano solo a se stessi, anziché ad affermare la verità contro la menzogna, ricevere giustizia diventa un'impresa ancora più ardua.
Il giudice della parabola rientrava nella categoria molto diffusa all'epo-ca di Gesù di quegli amministratori della giustizia facilmente corruttibili da parte di chiunque concedesse lo-ro del denaro. Chi, invece, essendo povero, non poteva permettersi di pagarli, era solitamente destinato a non ricevere giustizia.
Gesù presenta poi il secondo per-sonaggio della parabola, dicendo: «In quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversa-rio"» (v. 3). A quei tempi le vedove navigavano in cattive acque perché non esisteva ancora alcuna previ-denza sociale per loro. Pertanto, senza un marito, se esse non ave-vano una famiglia che le sostenesse e che si preoccupasse di loro, erano abbandonate alla loro miseria. La vedova di cui parla Gesù era ap-punto una povera donna priva di risorse, abbandonata a se stessa. Come se non bastasse, questa don-na era stata anche frodata o in-gannata da qualcuno.
La donna chiedeva dunque giusti-zia, ma era così povera da non po-tersi permettere una causa in tribu-nale, benché fosse dalla parte della ragione. Soltanto un giudice onesto avrebbe potuto aiutarla. In casi del genere un giudice che svolgesse rettamente il suo mestiere avrebbe avuto la responsabilità di aprire un procedimento giudiziario, ma il giu-dice al quale si rivolse la vedova, non avendo timore di Dio e rispetto per nessuno, non aveva alcun inte-resse ad aiutarla, perché sapeva che la vedova non avrebbe potuto dargli una buona mancia per ricom-pensare il suo impegno.
La vedova, però, non si rassegnò così facilmente, ma continuò a im-portunare il giudice con la sua insi-stente richiesta, finché il giudice, non potendone più, disse fra sé: «Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa» (v. 4b-5). Evidentemente, la donna, con la sua insistenza, l'aveva tal-mente esasperato che il giudice de-cise di aiutarla una volta per tutte, rendendole finalmente giustizia sul suo avversario.
Ora, questa parabola si basa su un paragone paradossale: se per-sino un giudice corrotto alla fine si lascia convincere a rendere giusti-zia a una vedova che lo implora, a maggior ragione il Signore, che è un Giudice giusto, renderà giustizia ai suoi figli che si rivolgono a Lui in preghiera.
Gesù, infatti, dice ai suoi discepo-li: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza» (v. 7-8a). Il Padre buono e misericordioso che Gesù ci ha manifestato è un Dio che ha un cuore sensibile e aperto verso ognuno di noi. Egli ascolta le nostre preghiere e non rimane in-differente di fronte ai nostri disagi e alle nostre avversità, ma viene Lui stesso a farsene carico. Il Signore è disposto a condividere con noi i no-stri pesi e ce lo ha dimostrato me-diante il suo Figlio Gesù Cristo che, pur avendo tutto in Dio Padre e non mancandogli nulla, si è fatto carico dei nostri bisogni; pur essendo sen-za peccato, ha preso su di sé i no-stri peccati; pur conoscendo la gioia dei cieli, ha condiviso le nostre sof-ferenze; pur essendo la resurrezio-ne e la vita, è venuto a morire per noi. Dio ci è venuto incontro nella persona di Gesù Cristo per mostrar-ci che non gli siamo indifferenti. Egli, infatti, si è interessato a noi fi-no a calarsi nella nostra condizione umana e a toccare con mano le no-stre miserie, le nostre malattie, le nostre sofferenze e le nostre paure. Il Signore s'interessa di noi in ogni singolo momento della nostra vita ed è basandoci su questa fiducia che noi possiamo rivolgerci ogni giorno a Lui in preghiera. Noi, oggi, siamo chiamati a impa-rare nuovamente a rivolgerci a Dio con preghiere insistenti e appassio-nate, senza demordere e senza te-mere d’importunarlo.
È vero, il Signore conosce già ciò di cui abbiamo bisogno prima anco-ra che noi glielo chiediamo, ma, allo stesso tempo, Egli vuole che noi ci affidiamo a Lui e che gli portiamo in preghiera le nostre gioie e le nostre sofferenze; le nostre vittorie e le nostre sconfitte; le nostre speranze e i nostri timori, deponendo ogni nostro peso nelle sue mani. Gesù invitava i suoi primi discepo-li e invita anche noi oggi ad affidarci nelle mani di Dio, presentandogli in preghiera tutti i nostri bisogni mate-riali e spirituali, come lui stesso ci ha insegnato nel Padre Nostro. Oggi possiamo imparare dalla vedova a presentare le nostre richieste al Si-gnore, prendendo come esempio la sua tenacia e la sua perseveranza. Anche noi siamo chiamati, come quella vedova, a perseverare nella preghiera, avendo fiducia che il giu-dice al quale ci affidiamo è un Giu-dice misericordioso che ha a cuore il nostro destino. E, anche se tanti problemi tardano a risolversi, è pro-prio in casi del genere che siamo chiamati a non smettere mai di pre-gare. La preghiera, infatti, ci confe-rirà le forze di cui abbiamo bisogno per affrontare le situazioni compli-cate che stiamo attraversando, nel-la fiducia che il Signore rimane in ascolto delle nostre richieste e nella speranza che Egli possa esaudirci.
Quante volte anche a noi sarà capitato di pensare: "ma come può Dio, che è occupato a governare tutto l’universo, interessarsi dei mi-seri problemi di noi esseri umani che siamo creature minuscole e in-significanti di fronte all’ immensità del creato..?"
Eppure, il vangelo ci annuncia che Dio si è interessato così visceral-mente a noi che si è abbassato fino a entrare nella nostra microscopica condizione umana, attraverso la persona di Gesù Cristo, per mo-strarsi solidale con noi. Il nostro Dio non è affatto un giudice indifferente ma, nella sua grazia, ci prende tal-mente sul serio che è sempre pron-to ad ascoltarci. La parabola della vedova e del giudice ci annuncia che, con la nostra preghiera, pos-siamo giungere a "smuovere" il cuore di Dio, proprio come la ve-dova riuscì a smuovere il cuore del giudice. Pertanto, non rassegnia-moci di fronte alle ingiustizie e alle avversità che ci ritroviamo a dover attraversare su questa terra, ma continuiamo sempre e comunque a confidare nell'aiuto del Signore, fa-cendo nostra l'esortazione che Pao-lo rivolgeva ai Romani: "siate allegri nella speranza, pazienti nella tribo-lazione, perseveranti nella preghie-ra" (Rm 12,12).
Preghiamo per le nostre necessi-tà; preghiamo per coloro che amia-mo; preghiamo per coloro che ci odiano; preghiamo per il mondo nel quale viviamo. Rivolgiamo ogni ri-chiesta al nostro Signore perché Lui ama essere invocato..! Sei sotto pressione? C'è qualcosa che ti af-fligge? Rivolgiti a Dio come la vedo-va si rivolse al giudice. Grida pure al Signore come faceva il Salmista: «Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l'an-sia nell'anima e l'affanno nel cuore tutto il giorno? Guarda, rispondimi, o Signore, mio Dio!» (Sl 13,1).
Possiamo persino alzare il nostro lamento al Signore con alte grida, pur di non tagliare mai la nostra relazione con Lui. Così aveva fatto quella vedova col giudice. E così siamo chiamati a fare anche noi col Signore.
Dobbiamo però avere con Dio la pazienza di attendere i tempi che Lui saggiamente deciderà per noi. Quella vedova ebbe pazienza col giudice e alla fine fu ricompensata. È certamente difficile continuare a pazientare nei momenti duri della nostra vita, quando ci aspettiamo delle risposte immediate dal Signo-re e queste risposte tardano a veni-re. La nostra fede in casi del genere viene messa a dura prova e molti non resistono a questa prova... Lo stesso Gesù sembra esprimere un dubbio a riguardo. Egli, infatti, con-clude la parabola chiedendosi: «Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, tro-verà la fede sulla terra?» (v. 8b). Gesù non si chiede se ci sarà an-cora un'organizzazione ecclesiale o se la gente andrà ancora al culto, ma si chiede soltanto se troverà ancora qualcuno che abbia conser-vato la fede, nonostante il Figlio dell’uomo tardi a venire per instau-rare quel Regno di pace e di giusti-zia che ha ci promesso.
Ebbene, noi potremo conservare la fede sulla terra se manterremo vivo il nostro rapporto col Signore, continuando a rivolgerci a Lui in preghiera. La nostra fede entra fa-cilmente in crisi quando ci ritrovia-mo nel bel mezzo delle difficoltà e il Signore, anziché intervenire presto, tarda a risponderci. Il Signore tro-verà la fede in noi? Avremo la forza e la perseveranza di aspettare con pazienza i tempi di Dio, anche se Lui tarda a risponderci?
Se non riusciamo a vedere rispo-ste immediate alle nostre preghiere, non perdiamoci d’animo perché il Signore rimane al nostro fianco an-che quando sembra che tardi a ri-sponderci. La sua presenza a volte è una presenza discreta, silenziosa, senza segni tangibili, ma Lui rimane con noi e soffre con noi, sospira con noi e condivide con noi ogni ango-scia, ogni timore e ogni preoccupa-zione. Lui rimane al nostro fianco e aspetta che noi ci affidiamo nelle sue mani e ci rivolgiamo a Lui in preghiera, dicendogli con le parole del salmista: «io sono misero e po-vero; o Dio, affrettati a venire in mio aiuto; tu sei il mio sostegno e il mio liberatore; Signore, non tarda-re!» (Sl 70,5).
Gesù ci ha promesso che Dio non rimarrà indifferente alle nostre pre-ghiere perché il nostro Padre cele-ste non è un giudice impassibile, ma è un Padre che si muove a compassione verso i suoi figli e che rende giustizia con "prontezza". La prontezza di Dio non corrisponde, però, alla nostra fretta umana, ma al suo intervento determinante quando i tempi sono maturi.
Vogliamo, dunque affidarci al Signore, perseverando nella pre-ghiera e confidando nella promessa che Lui interviene sempre al mo-mento opportuno nelle nostre vite personali e nella storia del mondo per compiere la sua giustizia e realizzare il suo regno.
Ruggiero Lattanzio (Baribattista n.128 Dicembre 2022) 

 
 
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