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ANNO XII - 25 Settembre 2018
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Università, la promessa (non mantenuta) del Fondo per il merito voluto dalla Gelmini
Creato nel 2010 dall’ex ministro e mai partito: la Corte dei Conti a gennaio ha bocciato il Miur e il Tesoro per non averlo reso operativo e aver lasciato in sospeso la Fondazione che avrebbe dovuto occuparsene

Chiara Daina

Non ci sono più dubbi: il Fondo per il merito creato nel 2010 dall’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini è l’ennesima cattedrale nel deserto. A danno degli studenti universitari. E a spese di tutti i cittadini, tanto per cambiare. Ecco perché. Mentre il finanziamento pubblico per gli atenei si prosciuga di 300 milioni di euro tra il 2012 e il 2013, e di altri 200 nel 2014, l’ultimo Governo Berlusconi stanzia un gruzzoletto di 20 milioni di euro per alimentare un nuovo Fondo, istituito con l’articolo 4 della legge 240/2010, che serve a premiare gli studenti più meritevoli. Un anno più tardi, nel decreto legge 70 (articolo 9, comma 3) viene messa nero su bianco una Fondazione ad hoc, promossa dalla collaborazione del Miur con il ministero dell’Economia, incaricata di gestire il Fondo, di operare in sinergia con altri Paesi esteri, e aperta prevalentemente agli investimenti privati. Ma nessuna anima pia si fa avanti.

Non solo: la Fondazione non eroga un centesimo della somma messa a sua disposizione. Intanto però assorbe dal Fondo tre milioni di euro come contributo di funzionamento. E a distanza di tre anni nessuno dai piani alti ha ancora avuto il coraggio di eliminarla. Se n’é accorta la Corte dei Conti, che il 28 gennaio ha bocciato il Miur e il ministero dell’Economia per non aver reso operativo il Fondo per il merito e aver lasciato in sospeso la Fondazione che avrebbe dovuto occuparsene. Ora al successore di Maria Chiara Carrozza, la deputata di Scelta civica Stefania Giannini, toccherà prendere una posizione, e al più presto. I sindacati fin da subito si sono opposti alla trovata della Gelmini. “Per favorire il diritto allo studio non c’è bisogno di creare sovrastrutture inutili – fanno sapere dalla Cisl Università -: le risorse devono essere distribuite senza altre mediazioni”. Dura anche la Cgil: “Come sindacato abbiamo più volte chiesto di cancellare quella legge, soprattutto perché non tiene in considerazione il reddito di partenza del beneficiario”.

I 17 milioni di euro che avanzano comunque non sono rimasti inutilizzati. Allora dove sono finiti? La risposta si legge nel decreto del Fare, approvato ad agosto 2013: cinque milioni di euro dirottati nelle borse di mobilità per gli studenti fuori sede per il 2013, altri cinque per il 2014, e il resto per l’anno prossimo. “E’ solo un intervento spot, tanto vale spostare quei soldi nel Fondo di finanziamento ordinario, che ogni anno si impoverisce – reagisce Gianluca Scuccimarra, coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari – Oggi non ricevono la borsa di studio circa 40 mila studenti idonei, cioè il 28 per cento. La legge Gelmini vuole creare un sistema parallelo a carico dello Stato quando lo Stato non riesce neanche a tutelare il diritto di studio per tutti previsto dalla Costituzione”. Anche la Crui è sul piede di guerra. Il Miur, interpellato, tace.


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